Ben Nevis, queste parole sono state l’angelo ed il demone che mi hanno fatto compagnia nelle notti tra Novembre 2022 e Febbraio 2023. Tutto cominciò lo scorso Novembre con la chiamata del
Presidente Generale del CAI Antonio Montani: “Ciao Fabio, ci sarebbe la possibilità di rappresentare il CAI all’International Climbing Meet in Scozia dal 25 febbraio al 4 Marzo, saresti interessato?”
A tale domanda la mia risposta è stata ovviamente affermativa...una settimana, in Scozia, all’International Climbing Meet. È un sogno.
Il mio viaggio iniziò così quel giorno. La sera, quando dopo una giornata di lavoro, mi coricavo a letto non facevo altro che cercare fotografie e report di ascensioni. Il “Ben”, come lo chiamano in Scozia, era entrato a gamba tesa nella mia vita. In tutto ciò però non ero solo, a condividere queste emozioni c’era Dario Eynard, una giovane promessa dell’alpinismo oltre che amico e compagno di avventure. Con lui mi son preparato per questa avventura andando ad arrampicare sul Pizzo del Becco, una sorta di Ben Nevis orobico, simile all’originale sotto molti punti di vista.
Il tempo vola e il 25 Febbraio ci troviamo all’aeroporto di Orio al Serio alla volta di Edimburgo. Al nostro atterraggio incontriamo Stuart McLeod, il quale ci dà un passaggio fino a Fort William, il paese ai piedi della parete nord.
La nostra base d'appoggio è stato il famosissimo C.I.C. hut nel quale abbiamo condiviso gioie e dolori sia con dieci scalatori scozzesi appartenenti allo Scottish Mountaineering Club, che con ragazzi provenienti dalla Polonia, dalla Corea del Sud, dalla Germania e da Singapore. Nelle serate passate al rifugio ci siamo scambiati opinioni tecniche ed etiche, son rimasto piacevolmente affascinato dalla ferrea etica scozzese, basta pensare che su una montagna come il Ben Nevis non è mai stato piantato uno spit, nemmeno per le operazioni di soccorso.
Un’etica ferrea che mira alla preservazione del territorio, “abbiamo poche montagne in Scozia, dobbiamo tenerle bene” mi disse Paul Ramsden durante una piacevole chiacchierata in rifugio. Per l’identico motivo il dry tooling non è accettato, è eticamente concesso scalare con picche e ramponi solo quando la roccia è bianca per via della neve o dell’umidità che condensa e ghiaccia sulla roccia creando il tipico scenario invernale scozzese.
Devo dire che questa filosofia, ben lontana da quella alpina, mi è piaciuta parecchio. Nonostante le condizioni della montagna non al meglio per via del clima relativamente caldo e siccitoso che ha incredibilmente colpito anche questi posti, mi sono trovato di fronte ad una parete stupenda sulla quale si crea la propria linea di salita tra le molte già esistenti, qui si respira ancora un alpinismo vero e pulito, dove ci si deve ingegnare per proteggersi tra fessure ghiacciate e le caratteristiche “turf” ovvero le zolle d’erba ghiacciata.
Questi fantastici giorni li ho passati legandomi in cordata con Ryan Balharry, un ventottenne scozzese, con il quale ho cercato di ripetere le vie più iconiche del massiccio scalando otto vie di ghiaccio e misto per quasi 2000m di arrampicata, tra le vie più interessanti storicamente abbiamo salito in veste invernale ed in solitaria Tower Ridge, la cresta simbolo della Scozia. Il giorno seguente abbiamo invece ripetuto Point Five Gully, una delle goullotte più famose al mondo, salita in sei giorni ed in modo eroico nel 1959 sotto il costante spin drift che caratterizza questa via.
Nei restanti giorni abbiamo lasciato spazio all’immaginazione ed un po’ come quando un pittore si trova con il pennello in mano ed una tela bianca davanti, noi con le picche in mano ed i ramponi ai piedi abbiamo cercato di disegnare la nostra linea verso la vetta, saliamo così “di pancia” seguendo l’istinto, il risultato è il concatenamento delle parti più interessanti di tre vie preesistenti, Indicator Wall, Flight of the Condor e la variante Mickey Mouse della quale scopriremo di aver realizzato la terza salita, saliamo anche Caledonia e la Smith Route sulla quale decidiamo di andare nuovamente dove ci porta il cuore percorrendo una placca ghiacciata davvero delicata.
Che dire, un’esperienza indimenticabile che mi ha arricchito personalmente ed alpinisticamente, è stato un onore rappresentare il Club Alpino Italiano, il quale mi ha cresciuto alpinisticamente nel corso degli anni.
Non posso far altro, dunque, che ringraziare il CAI per avermi concesso questa opportunità, il MSC per aver organizzato al meglio l’evento e Dario Eynard con il quale ho condiviso questa fantastica esperienza.
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